mercoledì 19 marzo 2008

Ricordiamo anche questo

E’ difficile trovare qualcuno che non ricordi cosa stesse facendo la mattina del 16 marzo 1978. Fu una mattina di sangue, di orrore, di autentico sgomento nazionale. Un calcio allo stomaco di un intero paese. Un gruppo armato aveva appena trucidato cinque uomini e rapito il presidente della DC Aldo Moro in via Fani a Roma. Quell’atto fu un punto di non ritorno e significò la presa di coscienza, da parte di un Paese distratto, dello stato di guerra civile in cui viveva da almeno un decennio. Non è mia intenzione rievocare la storia di quegli anni, altri lo hanno fatto in questi giorni molto meglio di quanto potrei fare io. Mi limito a ricordare il sacrificio di cinque uomini umili di cui si è sempre parlato poco, cosi come si parla sempre poco degli umili, dei servitori, di tutti coloro che nel corso dei secoli hanno fatto da scudo alle barbarie con la semplicità della loro vita perduta. Quel che ancora m’indigna di quella vicenda è che di loro non si parlò più nei due mesi successivi, mentre tutti si scannavano fra le ipotesi di fermezza o di trattativa. Neanche Aldo Moro ne fece cenno in quel mare di lettere e di scritti che si preoccupò di inviare a tutti nel disperato e un po’ patetico tentativo di salvare la sua vita. E questo, come ho già sottolineato, ancora m’indigna. Onore ai caduti del terrorismo, nella speranza di non rivedere mai più uomini e donne macchiati dal sangue innocente sedere in parlamento, predicare nelle televisioni pubbliche e private, insegnare nelle università, scrivere sui giornali, scrivere libri catartici di falso pentimento. Moro non era un grande statista, così come ancora si tenta di far credere, Moro era un potente democristiano del sud colto e furbo. Chi lo sentiva parlare di politica rimaneva sbigottito più per la scarsità dei concetti afferrati, compresi che per altro. Parlava di “equilibri avanzati”, di “convergenze parallele”. Concetti stravaganti che avevano un solo significato: prendere il mondo comunista e traghettarlo, in un modo o nell’altro, nell’area di governo. Quell’idea inorridiva sia la parte occidentale sia la galassia comunista capeggiata dalla grande madre Russia, e non è difficile capire i motivi di tanto orrore. Solo in Italia inorridivano in pochi, per il semplice motivo che in pochi avevano capito la portata nefanda di quella politica. I più terrorizzati stavano naturalmente oltre la cortina di ferro e non è da escludere che quel rapimento e quella morte trovasse la sua occulta regia proprio da quelle parti, ma qui mi fermo, la storia si complicherebbe troppo per trattarla nell‘ambito di questo scritto. Mi preme solo ricordare che proprio in quegli anni si sviluppò il grave cancro sociale che ancora ci troviamo ad affrontare: quello del debito pubblico causato da una forte politica della spesa, tesa sì ad allargare i diritti e le tutele, ma poi sfociata negli anni in una tremenda mangiatoia madre di tutte le corruttele, genitrice di disuguaglianze e privilegi vergognosi il cui frutto avvelenato è questa casta maleodorante di parassiti di stato chiamata classe politica.

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